Il diritto d'autore è istituto recente
La necessità di tutelare legislativamente le opere letterarie
ed artistiche è stata avvertita solo dopo l'invenzione della stampa,
che, con la moltiplicazione degli esemplari di un'opera, ha dato luogo
alla formazione di rilevanti interessi economici connessi con la nascente
attività editoriale.
La tutela di quella che fu suggestivamente chiamata « la più
sacra e preziosa » delle proprietà è giunta quindi
buon'ultima nella storia del diritto in confronto con quella degli altri
beni.
Il concetto che l'opera dell'ingegno appartiene a chi l'ha creata anche
quando l'autore si sia privato della materiale proprietà del manoscritto,
o del quadro o della statua di sua creazione, era peraltro noto fin dai
tempi antichi.
Seneca aveva notato come si parlasse di libri di Cicerone che Doro,
libraio, diceva, peraltro, a sua volta essere suoi. E come fossero
nel vero sia il libraio sia coloro che attribuivano i libri all'autore.
E in quella semplice considerazione che sottolinea l'esistenza di una
proprietà immateriale (la propriété incorporelle dei
francesi) accanto a quella dell'oggetto materiale è già la
ragione prima del diritto d'autore.
Noti sono, d'altra parte, gli epigrammi di Marziale contro i plagiari
che tentavano di far passare come propria l'opera altrui, e di attribuirsi
meriti inesistenti.
E può darsi, ed è stato autorevolmente sostenuto, che
l'actio iniuriarum fosse concessa anche per la tutela di quello che è
chiamato dalla vigente legge il diritto morale dell'autore.
Il privilegio degli editori e degli stampatori
Ma una tutela specifica in materia era sconosciuta; quando nacque, nella
tarda metà del secolo decimoquinto a Venezia, diffondendosi successivamente
in Francia, in Germania e in Inghilterra, essa prese la forma di un privilegio
concesso agli editori e agli stampatori.
Alla concessione della facoltà di stampare, concessione che
riguardava sia le opere nuove sia le antiche, si accompagnava e riconnetteva
sovente il meno gradito esame preventivo dell'opera, e cioè, in
più chiari termini, la censura preventiva.
Prima nel tempo a concedere privilegi agli stampatori, Venezia fu anche
la prima a riconoscerli direttamente agli autori.
Le prime leggi francesi e inglesi
La prima legge che abbia affermato un diritto dell'autore si ebbe. peraltro,
solo nel 1709 in Inghilterra con la famosa costituzione della regina Anna
la quale riconobbe il copyright o diritto di copia.
Con la legge francese del 19 luglio 1793, promulgata in Francia in
pieno regime rivoluzionario e che era stata preceduta dalle leggi del 15
gennaio e del 13 luglio 1792, in tema di rappresentazione delle opere drammatiche
e musicali, si ebbe finalmente l'affermazione dell'esistenza di una proprietà
letteraria ed artistica. Si trattò di una legge di pochi articoli,
ma tanto chiara, moderna e comprensiva che, rimasta in vigore, sia pur
con una serie di aggiunte e modificazioni, sino al 1957, permise alla giurisprudenza
francese di dare la più ampia ed efficace tutela alle opere dell'ingegno
di qualsiasi natura.
Le prime leggi italiane
Portato nello zaino dai soldati di Napoleone, un primo decreto in materia,
non privo, nella sua semplicità, di notevoli pregi, fu emanato il
12 gennaio 1799 dall'effimero governo rivoluzionario piemontese.
Nella Repubblica Cisalpina fu poi promulgata una legge organicamente più
completa nel 1801.
Ad essa seguirono, dopo la restaurazione del 1815, vari provvedimenti
legislativi nello Stato Pontificio, nel Regno delle Due Sicilie, nel Regno
di Sardegna, nel Ducato di Parma e nel Granducato di Toscana, di limitata
utilità, date le troppe frontiere che limitavano l'ambito della
loro efficacia e la facilità con la quale, a pochi chilometri dal
confine, era possibile dimenticare l'esistenza, se non dell'autore, dei
suoi diritti.
Per ovviare, almeno in parte, a tale grave inconveniente, una convenzione
fu stipulata nel 1840 tra gli Stati Sardi, l'Austria e il Granducato di
Toscana.
E si basò sulle norme di quel trattato Alessandro Manzoni per
promuovere una celebre causa contro l'editore Le Monnier che aveva riprodotto
senza la sua autorizzazione e, naturalmente, senza corrispondere alcun
compenso a titolo di diritto d'autore, I promessi sposi nella prima stesura
del 1827.
Le considerazioni acute e non prive della tipica arguzia manzoniana
che la contesa ispirò all'illustre scrittore si leggono ancor oggi,
dopo più di un secolo, con diletto e non senza profitto per lo studioso
del diritto d'autore.'
Le leggi italiane dopo l'unificazione
La prima legge italiana unitaria seguì di poco l'unificazione
politica e porta la data del 25 giugno 1865. Essa fu poi tradotta,
con qualche modificazione, nel testo unico del 19 settembre 1882 n. 1012,
rimasto in vigore sino al 1926.
Il 1 settembre 1926 entrarono in vigore il decreto-legge del 7 novembre
1925 n. 1950 contenente disposizioni sul diritto d'autore e il relativo
regolamento del 15 luglio 1926 n. 1369.
Detti decreti, con poche modificazioni, ebbero efficacia fino al 18 dicembre 1942, alla quale data furono sostituiti dal testo di legge del 22 aprile 1941 n. 633 e dal relativo regolamento del 18 giugno 1942 n. 1369, attualmente vigenti con alcune modificazioni.
Le varie leggi susseguitesi nel tempo sono state ispirate dal desiderio di assicurare al diritto dell'autore una tutela sempre più estesa ed efficace.
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I più recenti orientamenti (pag. 13/14)
L'evoluzione verso un sempre più ampio e completo riconoscimento
dei diritto d'autore, che è stata quasi costante sino a qualche
decennio fa, sembra, peraltro, meno sicura negli ultimi tempi.
Anche nei Paesi nei quali il riconoscimento di
tale istituto ha una tradizione secolare, si assiste al tentativo di alcune
categorie industriali per affermare, in sede nazionale e internazionale,
una loro titolarità dei diritti d'autore; si sono spinti
su questa via i produttori cinematografici, i quali pretenderebbero di
essere riconosciuti autori dell'opera dell'ingegno e in alcuni Stati vi
sono riusciti (è in proposito singolare il loro successo in qualche
Stato comunista). Alla conferenza di Stoccolma alcuni rappresentanti
della categoria avevano avanzato la richiesta che fosse loro quanto meno
riconosciuto in sede convenzionale il diritto di utilizzazione economica
sull'opera cinematografica, così pretendendo, per la prima volta
da quando esiste l'Unione di Berna, che questa regolasse i rapporti tra
gli autori e i loro aventi causa, anziché limitarsi a disciplinare
il diritto d'autore, senza occuparsi della sua titolarità e dei
suoi trasferimenti come era sempre avvenuto nelle precedenti revisioni.
Pressioni di altra natura si sono manifestate in diversi settori riguardanti
i più recenti e fortunati mezzi di riproduzione delle opere (dischi,
radio, televisione); ciò sia mediante la sostituzione al diritto
esclusivo di licenze legali, sia mediante la stipulazione di contratti
di commissione, contratti che si vorrebbero sottrarre alla disciplina generale,
concernente il trasferimento del diritto (esistono leggi che qualificano
il committente come « autore » dell'opera commissionata).
Simili atteggiamenti non possono sorprendere
quando si consideri l'importanza economica delle industrie e degli enti
che si occupano dei più recenti mezzi di riproduzione e diffusione.
Ma mettono in luce il pericolo che il diritto d'autore, fondato sul titolo
della creazione, si trasformi in un semplice privilegio industriale
e venga cosi riportato in certo senso alle origini perdendo la sua meritata
patente di nobiltà.
A questo primo fenomeno, si è aggiunto quello dell'atteggiamento
di alcuni Paesi di recente formazione, i quali, motivando le loro richieste
con necessità di carattere culturale, hanno ottenuto a Stoccolma
e a Parigi, mediante particolari protocolli, una seria attenuazione degli
obblighi di tutela dei diritti d'autore stranieri quali risultano dalla
convenzione di Unione.
Il più sconcertante episodio, nella serie negativa, si è
verificato a Cuba, dove Castro ha proclamato l'abolizione del diritto d'autore.
È allarmante il fatto che si sia giunti, per la prima volta,
all'abolizione del diritto d'autore in un Paese che in precedenza lo aveva
riconosciuto e tutelato.
Gli episodi di diversa gravità sin qui ricordati dimostrano
come non vi siano principi giuridici che non richiedano una vigile, costante
difesa: contro il prevalere di punti di vista e di interessi particolari
o contro il disconoscimento che di essi può essere compiuto sotto
i più singolari pretesti.